Abstract
L’articolo analizza comparativamente tre diversi contesti e organizzazioni dell’accoglienza per richiedenti asilo nell’area di confine italo-slovena a partire dal 2015, dopo la riapertura della cosiddetta “rotta balcanica” come ingresso europeo via terra. Attraverso interviste e osservazione partecipante si evidenziano le differenze fra il CARA di Gradisca, confinato in una grande caserma militarizzata ai margini della vita sociale, un inserimento SPRAR nel Villaggio del Pescatore, fondato da una comunità di profughi del dopoguerra, ed il modello efficiente dell’accoglienza diffusa di Trieste che distribuisce i migranti in appartamenti con forme di autogestione coordinata. Lo scenario di Trieste include anche un insediamento abusivo in un luogo storico di precedenti migrazioni forzate, dove i migranti sfuggono alla logica dicotomica che contrappone assistenza/respingimento per collocarsi con strategie di posizionamento in un’area grigia nello spazio di frontiera tra regime autoritario e umanitario. L’interpretazione dei micro-contesti riesce a fare emergere l’esito di scelte divergenti sia nell’organizzazione e management dell’ospitalità (grosso centro militarizzato, ospitalità diffusa, SPRAR), sia nelle diverse rappresentazioni mediatiche e politiche, con ricadute nelle vite quotidiane di migranti, cittadini e operatori coinvolti.
Cited by
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