Abstract
Tra il 1935 e il 1941, circa 200,000 italiani emigrarono nell'Africa Orientale Italiana in qualità di terrazzieri e manovali per la costruzione della rete stradale. Al di là della retorica fascista dell'«impero del lavoro», per questi lavoratori non-qualificati si sarebbe profilato in molti casi uno stato di marginalità sociale e instabilità economico-occupazionale. Questo articolo intende analizzare le risposte individuali (agency) di questi soggetti tanto protagonisti quanto subalterni della colonizzazione italiana dell'Etiopia. Nello specifico, si vuole far emergere l'influenza esercitata dal progetto di insediamento dei lavoratori e le differenze tra il contesto coloniale e quello della madrepatria. Nel tentativo di ridisegnare l'immagine dell'«emigrante disperato passivamente in balia della sorte» si utilizzeranno due fonti archivistiche: la memorialistica autobiografica, nello specifico undici diari conservati all'Archivio Diaristico Nazionale, oltre ai fondi dell'Institute of Ethiopian Studies relativi al Tribunale Penale di Addis Abeba e alle condizioni di impiego della manodopera italiana.
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